Non sai, e non saprai mai, quanto inchiostro, vero o virtuale, ho
versato per te. Nemmeno quante lacrime. E quelle, mio caro, erano tutte
vere.
Non ho avuto scampo, sin dall'inizio, quando mi dicevo "sì, mi
piace, ma niente di serio"; "le cose non serie sono le peggiori",
profetizzò V., improvvisamente passato di rango da bear gaymer a Oracolo
dell'Aurelia. Infatti, "poi le cose presero un'altra piega", per citare
una frase a noi cara: ogni giorno mi davi un buon motivo per sperare di
condividere con qualcosa di più di una piadina e un film, e da brava
ragazza sicura di sé (sì, ma dopo un paio di birre e uno Screwdriver) ti
chiesi di uscire.
Solo sul treno, una settimana dopo avertelo chiesto e un'ora dopo aver
ricevuto il tuo no accompagnato da "ma forse non so, un giorno...", mi
resi conto di quanto già ti adorassi.
Piansi davanti a turiste
spagnole di mezz'età. Scrissi una poesia salvandola nelle bozze dei
messaggi del cellulare. Fu l'inizio del baratro.
Smisi di dormire, ma non di uscire da sola con te. Quest'ultima cosa,
accompagnata da quel "ma forse, un giorno..." fece nascere nella mia
testa un nido di bestie feroci e striscianti che mi rendevano la vita
impossibile. Dubbi. Ansie. A volte, anche tremori improvvisi. A volte,
nelle mie notti insonni, bagnavo il cuscino di lacrime.
Scrivevo molto di te su un blog, all'epoca. Ti avevo dato anche un
soprannome carino quanto inadatto, ora che ti conosco bene: "Il Cinico".
Non c'era giorno che non ti regalassi un pensiero su quella pagina di
diario pubblica quanto privata.
Alla fine non ne potei più. Ti scrissi una lettera, ma non mi hai mai risposto.
Mi misi l'animo in pace, o quasi. Se non altro, cambiai.
Cambiai
fisicamente, cambiai mentalmente. Come gli zigomi sul mio viso, divenni
un po' più affilata e prepotente, ma senza snaturarmi. Mi concentrai su
me stessa e mi convinsi di essere felice. Ma tu continuavi ad esserci.
In qualsiasi momento della mia vita dal giorno in cui mi aggrappai a
quel "ma forse, un giorno...", se mi avessero chiesto con chi avrei
voluto stare avrei risposto senza esitazione con il tuo nome; da un
certo punto in poi però cominciai a nasconderlo,soprattutda me stessa.
Finimmo in vacanza insieme, condividemmo camere e vita con altre
persone, ma sempre a stretto contatto. Quando ti cambiavi mi giravo
dall'altra parte, per timore di trovarti ancora più attraente senza i
vestiti addosso. Erano già passati due anni. Pregavo che un qualche dio
mi rendesse felice dandomi te in cambio di tutte le mie aspirazioni
future, e disegnavo tuoi pessimi ritratti sulla Moleskine rossa, dove
annotavo quanto fossi stupida a continuare a sperare.
Poi l'annuncio della partenza, il primo saluto. Non fu un saluto
normale. Da qualche tempo eravamo più vicini, più uniti, ma niente
poteva giustificare quella lunga esitazione, quello sguardo disperato e
intenerito e quell'abbraccio lunghissimo, interrotto dall'arrivo del
treno.
Tornai a casa e passai tre giorni piegata in due sul letto a piangere,
sovrastata da un malessere che non sapevo spiegare. Mia mamma mi
diagnosticò dello stress dovuto alle complicazioni burocratiche che
precedevano la mia partenza, ma non ci avrei messo la mano sul fuoco.
Poi, quello che doveva essere l'ultimo saluto. Una giornata insieme
volata via, degli incontri improbabili, e poi mi hai riaccompagnata a
casa.
C'erano un sacco di stelle.
Stavamo appoggiati alla macchina a parlare senza guardarci negli occhi.
Era tardi. Ti attendeva un lungo viaggio. Ti dovevo salutare.
Ci abbracciammo. Stretti, a lungo. Troppo.
Cercai
di spezzare la tensione dandoti un bacio sulla guancia. Ridesti, e poi
mi dicesti "Forse ora ci siamo già strizzati abbastanza". "No, ancora!",
risposi, e non ci staccammo.
Qualche mezza frase di esitazione. Piccole paranoie. Il tuo cuore che batteva a mille, come quello di un adolescente. Dubbi.
Mi hai baciata.
Mancava una settimana alla mia partenza.
Sono passati sei mesi. Quel bacio è stata l'idea migliore che tu abbia mai avuto.
Ora ti conosco davvero, ti ho scoperto, non sono più ossessionata da te. Non sei più Il Cinico. Sei solo tu, ∞.
Non rimpiangerò mai nè una lacrima nè una goccia d'inchiostro versata per arrivare a te.
A.
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